Cancel culture: facciamo chiarezza

La cancel culture fa riferimento a una prassi attuata intorno a persone che dicono cose scomode. È un discorso ampissimo perché alcuni ritengono non esista, altri che esista e sia giusta, altri che sia sbagliata; altri la confondo con il politicamente corretto; altri discutono intorno al concetto di “dire cose scomode”.

In teoria, se qualche personaggio pubblico dice cose scomode e/o scorrette, viene escluso dalla società in diversi modi: vengono annullati contratti pubblicitari, viene chiuso il suo profilo social, viene licenziato o emarginato.

Vediamo alcuni esempi e alcune argomentazioni pro e contro, poi spiego la mia.

Donald McNeil


Donald McNeil è stato un giornalista scientifico al New York Times per 40 anni, poi è stato licenziato per aver usato la N-word (nigger). L’episodio scatentante è avvenuto in una gita scolastica, nell'estate del 2019, un gruppo di liceali è volato da Miami in Perù. Durante una conversazione informale durante a pranzo, uno studente stava raccontando di un suo amico che era stato rimproverato per aver usato la n-word; McNeil ha fatto una domanda cosiddetta di follow-up (che approfondisce un discorso) ripetendo la n-word."Nel porre la domanda, ho usato lo stesso insulto", spiegherà McNeil più tardi. Nessuno degli studenti presenti era nero, ma molti sono rimasti sbalorditi e sconvolti dalla ripetizione casuale da parte del giornalista di una delle parole più dannose in lingua inglese. Alcuni studenti si sono lamentati dopo la gita, McNeil ha affrontato un’indagine intero ma alla fine ha ricevuto un rimprovero e una nota nella sua cartella personale, alcuni colleghi non sapevano neanche cosa fosse successo.

La vita è andata avanti. Nel 2020 McNeil è diventato un punto di riferimento competenze per raccontare la pandemia e ospite abituale dei popolari podcast del Times.

Poi a fine gennaio 2021 il Daily Beast ha pubblicato una storia con l’indagine interna. "Ha mostrato un giudizio estremamente scarso", ha scritto Baquet in un'e-mail allo staff del Times poche ore dopo la pubblicazione della storia. Ma: “Non mi sembrava che le sue intenzioni fossero odiose o maligne. Credo che in questi casi si dovrebbe dire alle persone che hanno torto e dare un'altra possibilità ". Dichiarazioni che poi ha ritrattato.

La storia del viaggio in Perù ha scatenato una reazione a catena all'interno del Times. La settimana successiva, più di 150 dipendenti hanno firmato una lettera alla direzione del Times esprimendo frustrazione per la gestione della situazione da parte della pubblicazione e chiedendo a McNeil di scusarsi. A poco più di una settimana dalla pubblicazione della storia, McNeil era scomparso dal Times. 

Non è stato licenziato, secondo le persone a conoscenza della decisione, ma è stato essenzialmente costretto a dimettersi. "Riteniamo che questo sia il passo successivo", ha scritto Baquet in un promemoria del 5 febbraio la scorsa settimana, annunciando la brusca partenza del giornalista. "Non tolleriamo il linguaggio razzista indipendentemente dalle intenzioni."

McNeil si è scusato con i suoi colleghi e gli studenti nella sua dichiarazione. "Mi dispiace", ha scritto. "Vi ho deluso tutti”. I dipendenti del NYT sono insorti per la scarsa trasparenza e il trattamento di una faccenda così delicata. Un ulteriore scandalo, invece, fa riferimento alla frase del direttore del Times “non tolleriamo il linguaggio razzista indipendentemente dalle intenzioni”.

"Il licenziamento dopo una lunga carriera di McNeil per il semplice utilizzo di una parola, rischia di inviare un messaggio agghiacciante", ha dichiarato sabato in una dichiarazione l'organizzazione per la libertà di parola PEN America . "La menzione della parola - ad esempio, nel tentativo di chiarire come è stata usata in un altro contesto - non deve essere trattata come l'equivalente di un attacco razzista". 

John Eligon, un giornalista del Times che si occupa di razza, ha criticato la dichiarazione di PEN America per aver collegato il licenziamento di McNeil alla "pressione pubblica". Ha scritto su Twitter: "Preoccupazioni legittime sono state sollevate dai dipendenti neri che hanno lavorato al fianco di Don". Allo stesso tempo, Eligon ha “castigato” pubblicamente un altro giornalista del Times che aveva condiviso la dichiarazione del PEN. "È scoraggiante che un collega con cui ho lavorato e che rispetto possa twittare questo", ha scritto. Eligon non ha risposto a chiamate e messaggi in cerca di commenti.

Donald McNeil non ha commentato granché la cosa se non con sparute dichiarazioni, come: “È frustrante andarmene nel mezzo della più grande storia della mia vita, ma sapevamo tutti che la mia bocca larga un giorno mi avrebbe messo nei guai, no?”. Qui si allaccia un altro discorso: il Washington Post, ad esempio, mette in fila una serie di dichiarazioni sui fatti intorno a McNeil abbastanza strane. Eccone qualche esempio: "Donald era la persona sbagliata da mandare in un viaggio del genere", ha detto al QP un ex dipendente del Times a cui piace McNeil. Ha descritto McNeil come "molto onesto e di sani principi", ma anche "schietto" e talvolta "un po' aspro". “In effetti, McNeil era una sorta di leggenda al giornale [...]  Era anche notoriamente schietto e irascibile”. Le lezioni serali di McNeil agli studenti furono generalmente accolte bene. Due studenti del viaggio del 2019 hanno descritto i suoi modi come "burberi" e "strani". 

"Fin dall'inizio stava denigrando le tradizioni mediche del Perù", ha detto uno studente al Post. Un altro ha descritto l'interazione di McNeil con uno sciamano locale come irrispettosa e "degna di nota".  Cosa significato hanno queste frasi? Sembrano moralismi giustificatori dell’azione conseguente: “visto che era schietto, aspro e ha denigrato le tradizioni mediche del Perù allora, è ovvio che risulta razzista”. Terribile.

Tutto il caso mi sembra rappresentativo del problema “gestione della libertà d’espressione”. La frase del direttore del NYT è gravissima: “indipendentemente dalle situazioni” è un’affermazione veramente problematica. E infatti la situazione in cui è stata detta la n-word avrebbe dovuto contare e invece si è preferito dare risalto all’indignazione e alle persone che si sentono offese.

Alexi McCammond


Alexi McCammond sarebbe dovuta essere la nuova direttrice di Teen Vogue su diretta assunzione del titano della moda Anna Wintour. McCammond, 27 anni, si è affermata come una importante giornalista politico lo scorso anno. Ha coperto la campagna del presidente Biden per Axios ed è stata una collaboratrice di MSNBC e NBC. Nel 2019, è stata nominata giornalista emergente dell'anno dalla National Association of Black Journalists. Sarebbe stata la terza donna nera a ricoprire il ruolo di caporedattore di Teen Vogue, dopo Lindsay Peoples Wagner ed Elaine Welteroth.

E invece è stata licenziata ancor prima di cominciare.

I membri dello staff di Teen Vogue hanno fatto pressioni sulla dirigenza Condé Nast, condannando pubblicamente i tweet razzisti e omofobi della McCammond. Più di 20 membri dello staff di Teen Vogue hanno pubblicato una nota sui social media in cui affermavano di aver presentato un reclamo alla dirigenza dell'azienda in merito ai tweet.

"Dopo aver parlato con Alexi questa mattina, abbiamo convenuto che fosse meglio separarsi, in modo da non oscurare l'importante lavoro in corso a Teen Vogue", ha detto nell'e-mail Stan Duncan, chief people officer di Condé Nast al New York Times.

I tweet in questione risalgono al 2011 quando McCammond era adolescente ed erano offensivi per gli asiatici e i gay. McCammond si è scusata nel 2019 e il aveva cancellati. Si è scusata ancora direttamente con lo staff di Teen Vogue più volte. "Mi sono scusata per i miei precedenti tweet razzisti e omofobi e ribadirò che non ci sono scuse per perpetuare in alcun modo quegli orribili stereotipi", ha scritto in una lettera del 10 marzo pubblicata sul suo account Twitter . "Mi dispiace così tanto di aver usato un linguaggio così offensivo e imperdonabile."

Anna Wintour e Roger Lynch, CEO di Condé Nast, hanno affermato che erano a conoscenza dei tweet offensivi di McCammond. Pare che Wintour abbia discusso con “leader di colore” interni all'azienda (qualsiasi cosa voglia dire). Sebbene la società fosse a conoscenza dei tweet razzisti, non sapeva dei tweet omofobici o di una foto, sempre del 2011, che è stata recentemente pubblicata da un sito web di destra che la mostrava in costume da nativo americano a una festa di Halloween, ha detto il dirigente.

La discussione è andava avanti per settimane, con la pressione che cresceva sempre di più verso i dirigenti dell’azienda. McCammond si è scusata ancora e ancora in ogni sede, ma a un certo punto Wintour ha annullato tutto.

Riassumiamo:

Uno. Ogni colpa è imperdonabile, punto. Anche se seguita da richiesta di perdono in moleplici momenti. Anche dopo 8 anni. Anche se compiuta in età adolescenziale.

Due. L’opinione ottusa e ignorante di un adolescente, è imperdonabile. (Ricordo che è un atto totalmente non violento né grave sotto ogni punto di vista).

Tre. L’indignazione di un gruppo di persone può far licenziarne un’altra, anche contro il parere della dirigenza (punto tre-bis: la dirigenza cambia opinione se sotto pressione).

Quattro. Vestirsi da nativo americano è un reato imperdonabile. (Ritengo sia più imperdonabile un genocidio avvenuto poche centinaia di anni fa, mi sbaglierò.)

La necessità impellente di imporre giudizi morali, evidentemente, è una piaga ipocrita e ottusa. Perché qua c’è un giudizio di tipo moralistico davvero becero: non c’è qualificazione dell’atto o riconoscimento del pentimento ma solo netta volontà di punire, punire, punire.

Sue Schafer


Sue Schafer era una giornalista del Washington Post. È stata licenziata dopo aver partecipato a una festa in maschera con la famigerata “black face”; lei dice che era per prendere in giro Megyn Kelly, giornalista licenziata dalla NBC perché non capiva perché fosse necessariamente considerato razzista che le persone indossassero la “black face” come parte di un costume di Halloween.

La cosa che vorrei sottolineare è che il WP ha deciso di pubblicare un articolo di 3000 parole per rimarcare l’accaduto, evidenziando il comportamento della propria ex-giornalista. Per usare altre parole: sputandoci sopra e ridicolizzandola. L’Intelligence se lo chiede: “perché il Washington Post ha licenziato questa donna?”

Jeanine Cummins


Jeanine Cummins è una famosa scrittrice. Il suo ultimo romanzo, American Dirt, narrava di una madre messicana e suo figlio in fuga verso il confine con gli Stati Uniti ed era stato consigliato dalla stessa Oprah Winfrey.

Ma gli scrittori messicani americani hanno criticato American Dirt per le raffigurazioni stereotipate dei messicani e per il grande profitto che potrebbe ricavare dalla storia. Cummins è di origine irlandese e portoricana. Quindi, l’editore ha deciso di cancellare il tour promozionale per paura di scontri e proteste, anche fisiche. "Jeanine Cummins ha trascorso cinque anni della sua vita a scrivere questo libro con l'intento di puntare i riflettori sulle tragedie che devono affrontare gli immigrati", ha dichiarato Mercoledì Bob Miller, presidente ed editore di Flatiron Books. "Siamo rattristati che un'opera di finzione ben intenzionata abbia portato a un tale rancore".

"Sfortunatamente, le nostre preoccupazioni per la sicurezza ci hanno portato alla difficile decisione di annullare il tour del libro".

Laurie Sheck


La poetessa nominata dal Pulitzer Laurie Sheck, una professoressa alla New School di New York City, è oggetto di indagine da parte dell'università per aver usato la n-word durante una discussione sull'uso di James Baldwin dell'insulto razziale.

Sheck è bianca. Ha assegnato ai suoi alunni il saggio del 1962 “The creative process” di Baldwin, scrittore afroamericano e attivista dei diritti civili molto duro e critico. Durante la lezione, Sheck ha indicato il documentario del 2016 su Baldwin, I Am Not Your Negro, e ha chiesto ai suoi studenti di discutere il motivo per cui il titolo è stato alterato rispetto all'affermazione originale di Baldwin, in cui ha usato la n-word invece di “Negro” durante un discorso pubblico. (Notare che in inglese c’è differenza tra nigger e negro).

Sheck ha detto che uno studente si è opposto all’uso di quella parola. Lei non poteva usarla in quanto bianca. Sheck ha detto a Inside Higher Education di aver usato quella parola perché Baldwin - un alunno della New School - l'ha fatto, e “come scrittori, le parole sono tutto ciò che abbiamo. E dobbiamo riconoscere [Baldwin] di aver usato la parola che ha fatto apposta ”.

Sheck, interrogata dalla dirigenza dell’università, si è giustificata affermando che degli studenti di letteratura “dovrebbero ragionevolmente essere in grado di discutere un linguaggio doloroso o offensivo e le varie implicazioni dell'alterazione delle parole di uno scrittore iconico".

Ma Sheck ha detto al Guardian che l'università sta procedendo con un'indagine nonostante i suoi regolamenti affermino che le denunce di discriminazione devono essere presentate entro 60 giorni dall'incidente, termine prescritto quando la denuncia è stata presentata. Sheck si è detta scandalizzata perché ha insegnato per 20 anni con ottimi risultati, anche perché l’indagine interna è partita nel silenzio e senza avvertirla.

È intervenuta ancora la PEN (associazione per la libertà d’espressione): “alcune parole sono così atroci che non ci si può mai aspettare di dirle senza alcun rischio di offesa [...] “Ma questo è un caso in cui l'intento è importante. È necessario fare una distinzione tra un insulto razziale contro qualcuno e una citazione usata a fini pedagogici in una lezione su James Baldwin.".

Sottolineerei ancora che il contesto è dannatamente importante. Stava citando uno scrittore. Di colore!

Inoltre porrei l’attenzione sulla dichiarazione dell’esponente dell'associazione sulla libertà di parola. Dice: “alcune parole sono così atroci che non ci si può mai aspettare di dirle senza alcun rischio di offesa”. Il rischio di offesa è un problema: c’è sempre la possibilità di offendere qualcuno. Sempre. Perché dipende dalla singola sensibilità della persona. La responsabilità, quindi, non può essere di chi parla ma da chi percepisce quelle parole come un’offesa.

Lawrence Rosen


Durante il primo incontro del corso di antropologia "Libertà culturali - Incitamento all'odio, blasfemia e pornografia", tenuto dal professore emerito Lawrence Rosen, un piccolo numero di studenti è uscito dall'aula a seguito l'uso della n-word da parte di Rosen in una domanda su tabù culturali: "Cosa c'è di peggio, un uomo bianco che prende a pugni un uomo di colore o un uomo bianco che chiama un negro un negro?". Tra la classe di 65 studenti, circa otto erano studenti neri, secondo Destiny Salter '20, uno degli studenti.

Rosen ha poi annullato il corso. Ha detto che la decisione di Rosen di annullare il corso era solo sua, e che l'ha presa perché sentiva di "non poter riportare il corso in carreggiata".

Altri studenti che si ritengono indignati e offesi, ignorando il contesto.

Emmanuel Cafferty


Emmanuel Cafferty era un impiegato in un’impresa importante di raccolta di rifiuti; è stato licenziato perché un passante ha creduto facesse un segno con la mano associato al movimento razzista dell’alt-right. Cafferty, da parte di padre, ha antenati sia irlandesi che messicani. Sua madre è latina. "Se fossi un suprematista bianco", mi ha detto, "dovrei letteralmente odiare il 75 per cento di me stesso".

Non importa, importa l’indignazione di un passante. E lui rimane senza lavoro, rischiando la povertà e l’indigenza.

David Shor 


David Shor era un analista statistico di Civis. Quando Omar Wasow, un professore a Princeton, ha pubblicato un articolo sulla più prestigiosa rivista di scienze politiche del paese sostenendo che le proteste non violente per i diritti civili, negli anni '60, erano state politicamente più efficaci di quelle violente, Shor ne ha twittato un semplice riassunto. Un attivista accusato Shor di essere un troll e ne ha chiesto il licenziamento; in seguito alla pressione dei social, Civis ha licenziato Short.

Ah Omar Wasow è nero.

Majdi Wadi


Majdi Wadi è un immigrato palestinese residente a Minneapolis. Negli anni, col duro lavoro, ha costruito la sua società di catering. Funzionava bene, impiegava quasi 200 persone. La stampa locale è piena di articoli che lodano i suoi successi e la sua determinazione a restituire alla comunità. In occasione del 25° anniversario dell'azienda, il rappresentante Keith Ellison, ora procuratore generale del Minnesota, lo ha celebrato in un breve discorso all'aula della Camera dei rappresentanti.

Un giorno, d’improvviso, sua figlia 24enne gli ha ammesso di aver scritto una serie di post razzisti e antisemiti su Twitter e Instagram. Quello stesso giorno, Wadi ha fatto quella che descrive come "una delle cose più difficili che abbia mai dovuto fare nella mia vita": ha licenziato sua figlia dalla sua posizione di direttore del catering dell'azienda.

Non ha importato: quasi tutti i fornitori hanno annullato i contratti. Il proprietario del suo panificio ha annullato il contratto. 

Woody Allen


È stato accusato dalla sua ex compagna Mia Farrow di aver violentato la figlia adottiva Dylan quando quest’ultima aveva 7 anni.  Sull’accusa furono condotte varie indagini, ma non fu mai provato niente. Scrive ilpost.it “Se a lungo l’accusa non ebbe grandi conseguenze, negli ultimi anni ha fatto sì, per esempio, che Amazon e la casa editrice Hachette rescindessero i propri contratti con Allen, perché le pressioni pubbliche erano diventate molto più forti pur in mancanza di elementi nuovi.”

Un altro caso celebre era stato quello del comico Kevin Hart, a cui fu tolta la conduzione della cerimonia degli Oscar del 2018 per via di alcuni tweet contenenti battute omofobe che risalivano al 2010 e al 2011.

Ricky Gervais


Ricky Gervais è un attore, comico e regista inglese molto famoso. Ha creato, ad esempio, la serie TV “The Office”. Ha inoltre condotto per molti anni la cerimonia dei Golden Globe. È riconosciuto per essere  un comico e stand-up comedian molto spinto e provocatore.

Alla conduzione dei Golden Globe del 2016 ha detto: "sono cambiato. Non tanto quanto Bruce Jenner. Ora Caitlyn Jenner, ovviamente, e che anno ha avuto. È diventato un modello per le persone trans ovunque, abbattendo coraggiosamente le barriere e distruggendo gli stereotipi. Non ha fatto molto per le donne guidatrici.". In questa battuta Gervais fa riferimento a un incidente provocato dalla Jenner che ha causato un morto; incidente per la quale non è mai stata condannata.

Bruce Jenner è il vecchio nome di Caitlyn Marie Jenner, donna trans pubblicamente dichiarata nel 2015 ed ex atleta olimpionico da medaglia d’oro. Gervais è stato fortemente criticato per questa battuta.

Gervais nel suo spettacolo “Humanity”, tenuto dopo questo evento, ha sottolineato che fosse impossibile impedire che qualcuno si sentisse offeso da una battuta, proprio perché è frutto della sensibilità personale quindi fuori controllo del comico.

Opinione non richiesta

Una nota importante: questo non è un tentativo di difendere i maiali razzisti che spesso strumentalizzano questa argomentazione per grugnire odio. 

Anticipo un'altra obiezione: "non è forse più grave il razzismo e l'odio che discriminano e abusano le minoranze?"; ovviamente sì, quindi chiedo: in che modo licenziare ingiustamente qualcuno o discriminarlo a sua volta aiuta la lotta alle discriminazioni? "È più grave un nero ucciso da un poliziotto o un licenziamento" non è neanche una domanda da porre, non c'è paragone, ma questo non giustifica un atteggiamento sbagliato. In questo modo non si produce più equilibrio perché da un'ingiustizia, anche se piccola, si genere solo più squilibrio.

Veniamo al dunque. Ritengo che l’indignazione aprioristica e moralistica sia follemente dannosa. Non giova a nessuno e inquina un argomento invece molto interessante, profondo e che interessa a tutti.

Certo, là fuori ci sono persone stupide o cattive che pensano e dicono cose stupide e cattive, ma non si può censirle dall’alto provando a nasconderle, a reprimerle. Bisogna, anzi, farli esprimere, far riconoscere alle persone che li guardano la loro stupidità, metterli in luce. 

Il messaggio dev’essere culturale e deve arrivare dal basso, dalla conoscenza e dall’educazione fin dall’infanzia. Perché in caso contrario, come abbiamo visto, il confine tra opinione odiosa e opinione da contestualizzare si annulla.

Inoltre, impedire a qualcuno di dire qualcosa di odioso o punirlo per ciò che ha detto, non elimina il problema, che ricordo essere la stupidità odiosa di molte persone. Dire a un razzista: “non puoi dire sporco negro” e quindi punirlo, non gli fa capire un’accidente di nulla, né a lui né ai suoi simili.

Il problema principale è che non si conosce l’interlocutore. Se uno sconosciuto mi si avvicinasse dicendo: “terrone schifoso” lo considererei un idiota, razzista e imbecille. Se me lo dicesse a una cena informale un mio amico di vecchia data, magari pugliese, io capirei il messaggio molto meglio e ne riderei. Bisogna sapere leggere la situazione.

Servirebbe davvero meno moralismo giudicante. Stuoli di persone pronte a indignarsi e a un puntare il dito verso il peccatore osceno per identificarlo, annullarlo, punirlo, giustiziarlo.

Perché è più facile indignarsi e giudicare gli altri invece che sé stessi.

Comments

Popular posts from this blog

Dite sì all’eroina: argomentazioni a favore della totale legalizzazione delle droghe

Kathleen Folbigg è davvero la peggiore serial killer di sempre? Un appello di 90 scienziati afferma di no

La nuova direttrice del Washington Post